11 Mar Dialetti, lingue e identità
L’italia è tradizionalmente una nazione al plurale, sia da un punto di vista geografico che linguistico. È soprattutto del secondo aspetto che ci occuperemo in questo appuntamento della rubrica scaffale: tutti noi siamo uniti in quanto popolo da un’unica lingua e cioè l’italiano ma in realtà siamo caratterizzati da un’infinità di dialetti locali che ci rendono unici e plurali. Questa peculiarità degli italiani viene rappresentata metaforicamente nella nostra biblioteca dagli scaffali dedicati proprio ai vocabolari sui dialetti.
Nel Grande dizionario italiano dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, il dialetto viene definito come: «sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante e non utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico.» Se questo è vero allora bisogna precisare che non possiamo parlare di dialetti prima dell’affermazione del volgare fiorentino come componente fondamentale della lingua nazionale e dunque tutti gli altri volgari retrocedono appunto alla condizione di dialetti. Tuttavia la diffusione capillare dell’italiano, identificato ancora con il toscano, non si può dire effettiva fino all’unità politica dell’Italia quando nasce e si diffonde maggiormente il sentimento nazionale. Vittorio di Sant’Albino nell’introduzione al suo Gran Dizionario piemontese-italiano (1859): «L’unità morale e sociale di un popolo sta nell’unità dell’idioma. Come mai vi potrà essere comunanza di idee, d’identità di affetti e unità d’intento, finché dura e si mantiene una difformità di favella?».
Precedentemente all’unità d’Italia nell’uso quotidiano si continua a utilizzare l’idioma locale mentre quello nazionale viene utilizzato solo negli atti ufficiali e in letteratura. Proprio all’interno di questo argomento risulta fondamentale l’approccio che utilizza Tullio De Mauro nella sua Storia linguistica dell’Italia unita, edizione Laterza, 1963. Non ci propone la storia della lingua italiana, basata sulla produzione letteraria che escludeva comunque più del 90 per cento della popolazione, in quanto analfabeta, ma dà grande importanza a categorie prima sottovalutate o inedite come quelle di italiano regionale e italiano popolare e spiega la grande attenzione per quello che è stata, ed è ancora in parte una componente fondamentale del repertorio linguistico italiano: il dialetto. Ma se i dialetti sono il frutto di una tradizione orale, tramandata di generazione in generazione, a cui si comincia a dare la giusta importanza soltanto nella seconda metà del XX secolo, come possiamo fare per approcciarci allo studio di questo aspetto fondamentale della nostra storia nazionale? Uno strumento imprescindibile risultano essere proprio i dizionari dialettali: le fonti in cui è racchiusa una parte del patrimonio culturale e linguistico di una comunità in un dato momento storico. Questi strumenti sono usati dalla fine del Settecento ma di fatto tutti i più importanti vocabolari dialettali risalgono all’ Ottocento: «i vocabolari… correvano su e giù per la penisola a drappelli» scriveva nel 1838 il lessicografo Giovanni Cherubini. Per comprendere l’importanza di questi testi nello studio delle lingue parlate basti ricordare il lavoro condotto dal glottologo e linguista Angelico Prati che nel I vocabolari delle lingue parlate, Roma, 1931, ha prodotto una lista di ben settecentonovantacinque vocabolari, anche servendosi della sua ricca collezione di dizionari che, purtroppo, nel 1950 fu costretto a vendere a causa delle sue ristrettezze economiche.
I testi si presentano come strumenti complessi che racchiudono in sé due delle funzioni principali dei vocabolari: sono sia monolingui, in cui la lingua della definizione coincide con la lingua oggetto della raccolta, che bilingui in cui vengono messe in contatto due lingue con il fine principale della traduzione. Se i testi più antichi risalenti appunto al Settecento e all’Ottocento avevano lo scopo di insegnare l’italiano ai dialettofoni, in quelli più recenti invece prevale il fine conservativo e descrittivo di una lingua sentita come minacciata di estinzione e lasciano dunque in secondo piano lo scopo didattico. In merito alle difficoltà insite nella stesura di un vocabolario dialettale e all’egemonia esercitata dal toscano è interessante ricordare le parole di Raffaele D’Ambra presenti nel Discorso Proemiale del Vocabolario napolitano-toscano domestico del 1873: «Trattandosi d’un vocabolario di popolo, non si saprebbe d’onde cavare per uso comune gli equivalenti, se non è la lingua de’ toscani; imperocché essa è quella che trovi ne’ libri di tutt’i buoni scrittori, e non trovi punto nelle altre popolazioni d’Italia. L’Italia non ha che dialetti regionali, di cui si piace non pur la plebe, che la gente civile, patrizia e regia».
Oltre ai sopra citati dizionari, la nostra Biblioteca conserva una collezione di oltre quaranta opere di lingue locali e regionali, segnaliamo fra gli altri:
Vocabolario bolognese-italiano colle voci francesi corrispondenti compilato da Claudio Ermanno Ferrari, Bologna, 1835
Vocabolario piacentino-italiano di Lorenzo Foresti, Piacenza, 1836
Vocabolario romagnolo-italiano di Antonio Morri, Faenza, 1840
Vocabolario domestico napoletano e toscano, Napoli, 1841
Vocabolario cremonese italiano compilato da Angelo Peri, Cremona, 1847
Vocabolario bergamasco-italiano compilato da Stefano Zappettini, Bergamo, 1859
Dizionario genovese-italiano compilato da Giovanni Casaccia, Genova, 1876
Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, Palermo, 1881.